Zipperface - faccia di cuoio

Incredibile come Zipperface sia quello sbaglio incredibile che mai ti aspetteresti da un thriller/horror che sfoggia con vanto una copertina di un certo impatto.

Da noi arrivò in sordina, come l'ultimo figlio della serie B, in vhs e da lì non fece più nessuna evoluzione, nessun salto verso il mercato dvd. Misero misero, probabilmente con due o tre noleggi alle spalle e il futuro in qualche cestone a meno di 5 mila lire. Nei primi anni 90, lo vedevo prendere polvere sugli scaffali delle tante videoteche che frequentavo. Eppure, come detto, la copertina era molto buona, faceva il suo sano lavoro di horrorazzo morboso con una donna in lingerie sullo sfondo di un viso mascherato in latex. Le frasi di lancio negli States suonavano così: “Dalla morte della notte arriva il volto del puro terrore” oppure “L'ultima viso che vedrai sarà il suo”. Forte, no?



Però, sinonimo di truffa, era il sottotitolo italico “Faccia di cuoio” che non poteva non ricordare il Leatherface di Non aprite quella porta, e, leggendo la trama, capivi subito che c'entrava una mazza con la saga di Tobe Hooper. A distribuirlo poi era la Prisma video, una sottocasa della Fox, che faceva uscire quasi sempre film scadenti, titoli mai passati al culto come Desiderio colposo (“Le sue donne erano tutte belle, intelligenti e... vittime!”), gli action tamarri da Italia uno di Lorenzo Lamas e, ovviamente, il Capitan America sbagliato, quello di Albert Pyun. Se poi aggiungiamo che i doppiaggi erano tante volte scadenti, il noleggiatore sgamato capiva la puzza di prodotto rancido.

Così era Zipperface: un disastro. Impossibile sbagliare con un thriller che chiedeva poche cose per essere una visione notturna di culto, al pari, che so, di un Ghoulies 3: tette e sangue. Lo spettatore medio non avrebbe voluto altro. Di certo a noleggiarlo non ti saresti mai aspettato, siamo sinceri, un thriller al cardiopalma, ma quello che la copertina prometteva: belle donne e pazzi assassini. Cose che troviamo anche qui, ovviamente, ma in una versione più castigata e morigerata di quello che ci si aspetterebbe.

Mansour Pourmand, regista di origini iraniane, non calca la mano sul sangue e neppure sui nudi. Il suo tocco è quello di una qualsiasi serie tv alla Beverly Hills 90210 trasposta però in un horror che si vende come zozzone. È come se si cercasse di creare un Texas chainsaw massacre per il pomeriggio di Canale 5 con quella morbosità esportabile alle casalinghe disperate che fremono davanti al divetto Cam Yaman, loro le strappamutande col culto di Barbara D'Urso, tigri del ribaltabile che hanno fatto grande le assurde 50 sfumature di Dakota Johnson. C'è il bondage? Ovvio ma non si capiscono mai le regole. C'è il sesso? Si ma con il giusto cambio di scena quando si copula. E il sangue? Non pervenuto. Le tette? Ci dispiace ma il servizio non è disponibile.



In più Zipperface sembra un figlio degenere di William Lusting e del suo Maniac filtrato attraverso la visione superficiale del cultissimo Cruising. La California e soprattutto Palm Springs, teatro della vicenda, non sono dissimili dalla tetra e oscura Manhattan nel quale si muoveva il killer gay di William Friedkin: al giorno e ai grandi spazi aperti pieni di colori e spiagge fa spazio un mondo più oscuro, fatto di interni spogli, di donne e uomini che cercano e pagano il piacere attraverso il culto del dolore, del cuoio e della frusta. Qui facciamo la conoscenza di Zipperface, un assassino completamente vestito di latex, che sembra anticipare le fantasie cripto etero del serial American horror story. Solo che l'attore che lo interpreta, forse a causa della pesante tuta, sembra sempre goffo. Ad un certo punto segue una vittima e si ferma, prende fiato, non ce la fa più. Impossibile spaventarsi, verrebbe quasi naturale che la sua vittima tornasse indietro per aiutarlo. “Ti devo uccidere”. “Si, si, dopo”.

Si butta nella trama tutto: falsi colpevoli che fanno facce truci, travestiti, prostitute che si salvano e poi senza motivo si fanno uccidere, poi attori sbagliati, tic inutili dati ai personaggi nel tentativo inutile di umanizzarli. Prendiamo un detective della omicidi che ogni momento deve fermarsi per fare pipì. Perché? Sta male? Sta morendo? Non si saprà mai. Mai.

Il tutto poi è condito da una certa ironia fuori luogo che non emerge mai, ma è sottopelle, tipica dei prodotti anni 90 che passavano dalla serietà degli 80 al disimpegno del nuovo decennio. Ad un certo punto si scopre che un personaggio si veste da donna e allora giù risate, battutacce. Peccato che un secondo prima rischiava di essere stuprato da un gruppo di teppisti in pausa pranzo da qualche Giustiziere della notte in fase calante.

La protagonista, la bella ma bassissima Dona Adams, è qui al suo primo e ultimo ruolo: probabilmente ha seguito nel casting la mamma Marilyn Adams, presente invece alla sua ultima performance di una carriera di 8 titoli. Non spicca per doti interpretative, ma ha una carica sessuale abbastanza interessante e ovviamente mal sfruttata da Mansour Pourmand. Il suo personaggio, Lisa Ryder, dovrebbe essere una detective sveglia che affronta, come ogni classico thriller erotico si rispetti, il lato oscuro del suo morigerato io, ma invece viene rappresentata come una scema che, pur cercando un killer con la passione per il bondage sadomaso, accetta un appuntamento amoroso dal primo sospettato, un fotografo appunto con la passione per il bondage sadomaso. Sembra una parodia ma non lo è.

Il resto è un film che si vorrebbe patinato come certe produzioni di Zalman King ed invece è solo televisivo, senza mai avere una sua estetica certa anche a livello di fotografia. Un disastro, mai purtroppo divertente, micidiale nel suo proseguire lento verso la fine.



Eppure a qualcuno, anche soltanto a livello di sfottò, deve essere piaciuto se il film fu adattato come "Zipperface!!?!: The Hobo Musical" da un gruppo di laureati della Rutgers University, in uno spettacolo Off-Broadway del 2009. 

Ancora meglio poi con l'artista francese Carpenter Brut che rielaborò alcune sequenze di questa pellicola per il suo video musicale "Leather Teeth". Meglio ovviamente dell'originale. 

Mansour Pourmand aveva alle spalle due produzioni girate nel 1972 in Iran, Shir-too-shir e il serial Talkh va Shirin, dei quali si sa poco e niente. Emerge dagli abissi, negli States, vent'anni dopo con Zipperface e prosegue la sua oscura carriera nel 2010 con Aladdin's untold story, che del titolo sembra un porno di Joe D'Amato, e invece è inaspettatamente un video motivazionale, interpretato dalla caratterista Eli Jane, e venduto su internet a quasi 20 dollari in abbinamento al libro omonimo, scritto dallo stesso regista.

Si legge cercando informazioni sul film: “Mansour Pourmand presenta La storia mai raccontata di Aladino, Il film è una storia avvincente di una giovane attrice in lotta che ha provato solo fallimenti e pensieri fino a incontrare Aladdin e apprendere il suo antico segreto per raggiungere successo, felicità e fama”. E riferito al libro: “Aladdin's Secret rivela magnificamente i segreti più profondi della psicologia dell'auto-aiuto. Avendo intrecciato una narrazione magistralmente realizzata che coinvolge amore, perdita e sacrificio di sé, Pourmand rivela come l'affermazione, la visualizzazione positiva e il dialogo interiore ci mette in contatto con la verità superiore della nostra esistenza. Rivelando scoperte profondamente personali, Pourmand dimostra come il passaggio dagli stati mentali automatici del trauma e della sopravvivenza a quello della crescita, dello sviluppo personale e della scoperta di sé di poteri interiori ancora sconosciuti attende tutti noi".

Ammetto di non averci capito nulla, ma, spinto dalla curiosità, ho contattato Mansour Pourmand per un'intervista. Magari vestito da Zipperface.

State sintonizzati.

Andrea K. Lanza


Zipperface - Faccia di cuoio

Regia: Mansour Pourmand 

Interpreti: Dona Adams, Bruce Brown, David Clover, John Dagnen, Rikki Brando, Jonathan Mandell, Richard Vidan, Marilyn Adams

Durata: 90 min,




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