Notte profonda

 La dipendenza, dall'alcol ma anche affettiva, la vita che sfugge veloce, consumata nelle notti a scrivere, proprio nel punto più alto dell'esistenza, quei vent'anni che puntano ai trenta.

Fabio Salerno è stato una meteora, un nome fagocitato presto nell'oblio, morto suicida a 27 anni, nella Milano che da lì ad un anno avrebbe visto la nascita di Silvio Berlusconi e la sua Forza Italia.

Fabio Salerno emerge il 1991 con un horror che fa il giro dei Festival, Notte profonda, un low budget girato con pochi spiccioli e l'idea grande di poter fare vero cinema con niente, solo il talento. Mentre Lucio Fulci terminava Voci dal profondo e Le porte del silenzio, i suoi testamenti imperfetti e bellissimi, il nostro giovane filmaker si faceva conoscere in un panorama ancora acerbo come il cinema indipendente. Due anni dopo, nel 1993, ci sarebbe stato il nulla. Di Fabio Salerno non circoleranno mai le vhs, solo poche copie promozionali di Notte profonda, e la leggenda di un altro film, questa volta ad episodi, dal titolo L'altra dimensione. Con lui da lì a poco morirà il cinema di genere spalancando, come in Paura nella città dei morti viventi, una nuova ondata di artisti, un cinema horror più anarchico.



Salerno l'aveva capito già nel 1982 quando diresse il suo primo volenteroso cortometraggio, Cadaveri. Il cinema che aspirava era più ricco di quel Notte profonda che fu spernacchiato, ingiustamente, ad un festival a Bellaria. Dietro le sue donne arpie, i pasti cannibalici e romantici, le luci rosse alla Suspiria, si potevano trovare tutte le ferite del suo autore. Lì dentro le pieghe della carne, prima, o della memoria, dopo.

Ora, nel 2023, è facile parlare male di una pellicola girata in 16 mm, con attori non eccelsi, effetti speciali non all'avanguardia e tutti quei problemi melomani e di ritmo che si possono riscontrare in un lavoro girato da un ragazzo. Nel 1991 non esisteva il cinema amatoriale o indipendente, in Italia il cinema era cinema, basso come un Fulci, soprattutto nel suo periodo di agonia alla fine degli anni 80, alto come un Bevilacqua che giocava a fare il regista. Una distinzione fatta dalla critica, ma non dal pubblico che subiva semplicemente i film nella dimensione di brutto o bello, la fruizione più pura e meno inficiata dall'eccesso di cultura snob.

Notte profonda non era un bel film nel 1991, senza dubbio. Non lo è neanche nel 2023 ovviamente, ma ora lo si può storicizzare, lo si può prendere anche per quello che cercava timidamente di dire, magari fallendo, ma sforzandosi, tanto.

Notte profonda scippa frasi a Cronenberg, il “Abbi paura, abbi molta paura” de La mosca, intuizioni da Videodrome, da Barker e il suo Hellraiser, è la camera di un ragazzino che legge Dylan Dog, ascolta musica metal e si perde nelle bellissime gambe fasciate da calze a strisce delle sue attrici.

Notte profonda è Argento con le sue luci, i suoi impiccamenti, la casa di Inferno che brucia.

Non solo ovviamente.



Notte profonda è il parto acerbo di un regista che urla la sua libertà creativa come William Wallace davanti ai suoi torturatori, come un tossico in attesa dell'eroina si contorce, sbava e crea arte attraverso il suo vomito. Dentro c'è tutto: c'è l'horror che anche noi da ragazzini leggevamo su Splatter, c'è la passione che crea mostri alla Rob Bottin, c'è l'effetto a passo uno che davvero non ci credi che esca da un film da pochi milioni di lire, poi il dolore, tanto, e quei finali che solo Sclavi poteva pensare, nero pece, notte profonda, appunto.

Certo è tutto così dilatato, tutto perso, folle quando cerca di citare Ghostbuster in chiave Tobe Hooper. Sciagurato, ma anche affascinante. La macchina da presa si muove elegantemente malgrado gli spazi angusti, gli attori recitano meglio di come faranno nel cinema indipendente del nuovo millennio, soprattutto Luigi Sgroi, il fisico e la voce adatta per il protagonista, l'alcolizzato e depresso disegnatore che forse non ha trovato nessuna piramide maledetta, nessun cubo di Lemarchand. Lui e le sue allucinazioni, neanche più capace di fare l'amore con la sua donna, vive il delirio degli stessi film che addobbano la sua casa, uccide o forse no, muore questo è chiaro perché è già morto dall'inizio quando lo troviamo chino in un cesso a vomitare. Il suo suicidio è lento e riporta ancora a Cronenberg, un suicidio artistico che lo spinge a non uscire più di casa, a sbronzarsi fino a morire, a ferirsi nel delirium tremens che ricorda tanto l'abuso di droga.

Notte profonda perciò sotto la patina da horror che guarda ad Hellraiser rivela un'anima più intimista, con le musiche dei Limbo che, anche nella copia più bella, della Oblivion, sovrastano il parlato.

Dolente, funereo, imperfetto, Notte profonda non regala speranze. Anche per questo lo amiamo.

Andrea K. Lanza



Notte profonda

Anno: 1991 (Italia)

Genere: horror 

Regia: Fabio Salerno 

Interpreti: Luigi Sgroi, Simona Brusoni, Francesca Bartellini, Olimpio Fantaguzzi, Mario Monzoni, Cristina Rizzello

Durata: 66 min.





Commenti

  1. Un film, quasi, ben fatto. Peccato per la musica(buona di suo) che si sovrappone ai dialoghi che avrebbero avuto bisogno solo e unicamente del silenzio.

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    1. Vero. Però sono sicuro che la musica invasiva derivi dalla non ottima qualità della pellicola.

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